Augusto Baldesi
Cenni Storici
UNA STORIA D'ALTRI TEMPI : AUGUSTO BALDESI
Firenze , 10 agosto del 1920, notte di San Lorenzo.
Il caldo si faceva ancora sentire alla fine di quella giornata. Si stava avvicinando la sera e nelle ore notturne si attendeva di trovare un po’ di sollievo dall’afa.
Erano passate le ore 18 e nelle cucine si stava iniziando a preparare la cena. La popolazione aspettava che calasse il buio per poter godere della frescura ma anche per poter osservare le stelle cadenti che si sperava sarebbero state numerose.
Alle 18,20 improvvisamente la calma di una giornata come tante altre fu squarciata da una tremenda esplosione che fu sentita in tutta la città e nei paesi vicini. Sul momento la gente non riusciva a capacitarsi di cosa fosse successo, fino a che non si seppe la ragione di tanto violento ed improvviso rumore: era esplosa la polveriera di San Gervasio.
La polveriera si trovava tra via Gasperi, viale Righi, viale Volta e via Fibonacci, con accesso da una strada chiama Prevost, a mente di una nobile famiglia svizzera, nel quartiere di Campo di Marte che, come ben si evince dal nome, aveva una vocazione militare. Il tutto ai piedi della collina di Fiesole.
Dopo la fine la della prima guerra mondiale , la gestione di questo imponente deposito di munizioni era stata data in gestione ad alcune ditte private, che si occupavano del disinnesco dei proiettili non utilizzati nel corso del conflitto da poco terminato.
Si calcola che al suo interno ci fossero circa 75 tonnellate di esplosivo e circa 360.000 proiettili una parte dei quali ancora da disinnescare. Il lavoro di disinnesco era molto, molto lento e da farsi con tutte le precauzioni possibili. Sembra che a generare la tremenda esplosione fu un bossolo disinnescato, forse non completamente ‘ripulito’, gettato su altri nelle medesime imperfette condizioni. Si suppone che ne scaturì una scintilla che diede luogo al boato e le esplosioni a catena che ne conseguirono si protrassero per 2 giorni senza interruzione.
Esplose tutto: le granate, la polvere da sparo ed i proiettili non disinnescati. La polveriera era diventata una macchina di distruzione mortale che lanciava in ogni dove il suo contenuto. Si scoperchiarono le case vicine; la chiesa di San Gervasio subì danni ingentissimi; alcune abitazioni crollarono; altre ne portarono traccia per anni; finestre e persiane vennero divelte e lanciate in aria dall’esplosione dei proietti, causando ulteriori pericoli e danni. La conta dei morti e dei feriti si rivelò la conseguenza peggiore e dolorosa. Un apporto essenziale e senza pari fu fornito dai volontari della Misericordia di Firenze, che arrivarono in gran numero per portare assistenza sul posto.
Si contarono circa 100 feriti tra gravi e meno gravi, qualcuno fu addirittura colpito a Fiesole paese,in cima alla collina, dove arrivarono alcuni proiettili e schegge. In quella tragedia ci furono anche 8 morti, fra i quali Augusto Baldesi, vice-comandante dei Vigili del Fuoco di Firenze, ferito mortalmente da un proiettile vagante nel corso della sua opera di spegnimento. A niente valsero gli sforzi di un collega che lo prese sulle spalle per portarlo di corsa all’ospedale, dove arrivò in fin di vita. Il Comune di Firenze intitolò al Baldesi una strada in quel quartiere. Al collega Vigile fu concessa una M.B.V.M.
Per il suo grado nel Corpo dei VV. d F., ruolo ed esperienza consolidata, egli fu chiamato ad affrontare l’emergenza provocata dalla tremenda esplosione del deposito militare.
Augusto Baldesi accorse per portare soccorso alle persone, cercando anche di limitare o non aggravare i danni ai manufatti causati dallo scoppio della polveriera. Uomo di grandissime risorse, si era formato al comando di via La Farina distinguendosi fin da subito per il suo coraggio ma anche per le sue proficue ricerche. Insieme ad alcuni tecnici dell’Istituto Medico Militare (oggi Istituto Farmaceutico Militare), aveva sperimentato un nuovo metodo per lo spegnimento degli incendi che venne utilizzato durante il primo conflitto mondiale. Rendendosi conto che la sola acqua non era sufficiente per lo spegnimento di alcuni tipi di incendio - in quanto le fiamme riprendevano subito vigore -, studiò, mettendolo a punto, un metodo innovativo. Infatti, per le alte temperature prodotte dai materiali incendiati, come ad esempio le lamiere arroventate, l’acqua serviva ben poco. L’apporto di Augusto Baldesi e dei tecnici dell’Istituto, con i quali studiava le composizioni chimiche e le tecniche d’estinzione ed operava costantemente, è stato fondamentale. Era stato sperimentato che l’acqua, arricchita da determinate sostanze chimiche, facilitava lo spegnimento degli incendi. Nacquero così le cosiddette schiume di estinzione, che da allora limitarono di gran lunga i danni provocati dagli incendi qualora scaturiti a seguito di esplosioni, come nella fattispecie.
Era un’esigenza già sorta durante la Grande Guerra quella di poter spegnere gli incendi provocati da esplosioni senza ricorrere all’impiego della sola acqua. Fra coloro che valutarono la possibilità di impedire la ripresa delle fiamme, soprattutto in presenza di lamiere arroventate, attraverso l’impiego di sostanze chimiche appropriate, c’era appunto Augusto Baldesi . Questa esperienza gli costò la vita.
Ma torniamo alla cronaca . In quel periodo lo scontro sociale andava assumendo la massima tensione come alcuni episodi confermano. Ci fu addirittura chi catalogò l’esplosione come un attentato. La questione non fu mai chiarita e nessuno fu indagato, arrestato e tantomeno processato per quel fatto, ma per le forze dell’ordine e la magistratura fu l’occasione per reprimere duramente anche i reati d’opinione. Emblematico fu il caso di Ugo Cardoso che, trovatosi a commentare per strada l’accaduto, fu denunciato da gente di passaggio e processato il 21 ottobre dello stesso anno. Essendo iscritto al partito anarchico individualista, Cardoso, nel 1923, fu addirittura considerato non amnistiabile.
Rimanevano da definire e contabilizzare i danni subìti da coloro che a vario titolo, erano stati coinvolti dallo scoppio della polveriera. L’ esplosione recò gravi danni anche ad alcune proprietà di cittadini svizzeri. Con Nota Verbale del 17 gennaio 1921, il Console della Svizzera a Roma, Wagnière, si rivolse al Ministro degli Esteri, Sforza, riferendosi all'esplosione accidentale della polveriera di San Gervasio e ai danni che tale esplosione aveva provocato alle proprietà di alcuni cittadini svizzeri.
L'Avvocato Generale Erariale, Scavonetti, interpellato dal Ministro Sforza sulla questione, rispondeva, il 15 marzo 1923, nei seguenti termini:
“L'attività che l'Amministrazione militare a causa di una guerra, svolge per deposito, trasporto, carico e scarico di esplosivi, rientra in quella sfera di attribuzioni del potere esecutivo che sfuggono a qualsiasi sindacato giurisdizionale ……… Questo principio, ….., fu accolto dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Lo stesso principio è applicabile al caso della polveriera di S. Gervasio per il quale questo Generale Ufficio.... ha consigliato le Amministrazioni interessate (Guerra e Tesoro) a resistere a tutte le domande di indennizzo e alle cause promosse a tale scopo……”. (Scavonetti a Sforza, Roma, 15 marzo 1923)
Erano ancora lontani i tempi del Servizio della Protezione Civile; il Governo stanziò la somma di Lire 2.300.000 come sussidio e rimborso per chi aveva subìto danni in seguito dall’esplosione. Una cifra che fu definita da subito del tutto inadeguata. La questione fu oggetto d’interrogazione parlamentare da parte dell’onorevole Giuseppe Morelli, avvocato fiorentino che aveva preso le difese delle vittime prima della sua elezione alla Camera. Morelli chiese ai ministri delle Finanze e dei Lavori Pubblici di provvedere in maniera definitiva e con maggiore equità alle richieste dei danneggiati, ma la risposta del Sottosegretario, Luigi Spezzotti, non concesse speranze: quello era lo stanziamento e amen.
Dopo la sciagura dell’esplosione molte cose cambiarono. Quello che restava della polveriera fu definitivamente smantellato per lasciare spazio all’Istituto Agronomico per l'Oltremare e a nuove abitazioni civili. Anche una strada cambiò nome, da Prevost a Baldesi. Era giusto così perchè il valoroso vice-comandante dei Vigili del Fuoco meritava di essere ricordato per sempre. La via Augusto Baldesi è tuttora parte integrante di quel quartiere, per ricordare a tutti questo personaggio eroico ,morto nell'adempimento del dovere.
Serg. Andrea Breschi - Art. Franco Fantechi